Relations with community of origin
A torn map. Emigration as a tear that generates a hole. An outline that evokes the emptiness left by those who leave in the context of their origin. The double absence. Not being completely there, not being completely here. The map is crumpled, as if convulsing, as when drought shrivels the leaves. The central figure is raised, flying upwards but at the same time stretched out like a dizzy diver towards the origin from which s/he comes. And where now only a shadow is left, a black hole that absorbs all the light of those who remain. Leaving generates wounds. Mutilations. Ghosts. Sometimes the sensation of still feeling the limb that has been amputated. The open arms signal the fragility of those who expose themselves, literally of those who place themselves outside. He who in going opens himself to the world, exposes his side: he opens himself to the embrace but also to the possibility of being wounded. He opens himself to flight but at the same time to falling.
Relazioni con comunità di origine
Una mappa strappata. L’emigrazione come strappo che genera un buco. Una sagoma che evoca il vuoto che nel contesto di provenienza lascia chi parte. La doppia assenza. Non esserci del tutto là, non esserci del tutto qui. La mappa è accartocciata, come in preda alle convulsioni, come quando la siccità raggrinzisce le foglie. La figura centrale è sollevata, in volo verso l’alto ma allo stesso tempo protesa come vertiginoso tuffatore verso l’origine da cui proviene. E in cui ora non è rimasta che un’ombra, un buco nero che assorbe tutta la luce di chi resta. Partire genera ferite. Mutilazioni. Fantasmi. Talvolta la sensazione di sentire ancora l’arto che invece è stato amputato. Le braccia aperte segnalano la fragilità di chi si espone, letteralmente di chi si pone fuori. Chi nell’andare si apre al mondo, espone il costato: si apre all’abbraccio ma anche alla possibilità di venire ferito. Si apre al volo ma nello stesso tempo alla caduta.